La Storia

Le origini
Le origini del castello e quelle di Peschici costituiscono un unico problema: il primo documento (CTD, 47) in cui compare il nostro centro abitato, del 1053, parla infatti di “Castello Pesclizo” (da leggersi Pèschizo). Secondo la tradizione (SARNELLI, III; CAVALIERI, 89) Peschici sarebbe stata fondata da mercenari Slavi che avrebbero avuto alcune terre garganiche in cambio della liberazione dai Saraceni di questa parte di Puglia: è più probabile che una forma se pur primitiva di fortificazione vi fosse costruita.

L’organizzazione del Castello
Dopo la caduta dell’impero romano, nell’assenza di uno stato centrale, le città non avevano ragione di esistere. “Cessando di essere centri commerciali avevano perduto la maggior parte della popolazione (…) Così , a a partire dal IX secolo, tutti i territori si coprirono di fortezze”. (PIRENNE, 44, 50). Nel quadro della società feudale le costruzioni fortificate assunsero ben presto la duplice funzione di difesa, comunque dei signori e in casi dei villici; e di rappresentanza del potere locale.
La società medievale era strutturata sui tre livelli funzionali rappresentati daglo oratores, dai bellatores e dai laboratores. “Ormai il pregare, il combattere e la fatica dei campi erano considerati, sia pure a un diverso livello di rispettiva dignità, come i tre fondamentali aspetti del vivere civile, i tre pilastri del mondo cristiano.” (CARDINI, 84) I bellatores si occupavano tra l’altro della difesa del territorio, quindi dell’organizzazione e della gestione del castello: una guarnigione di cavalieri (milites castrenses), spesso coadiuvata da guerrieri scelti tra gli abitanti locali, vi era collocata stabilmente, agli ordini di un castellanus.

Dai Bizantini ai Normanni
Proprio nell’anno 970 i Bizantini istituirono in Puglia il catapanato d’Italia (nome che in seguito resterà alla sola provincia di Foggia, detta Capitanata): il catapano Basilio Boioannes (1010-20) fece edificare un gran numero di centri fortificati di dimensioni ridotte e con pochi spazi urbani liberi. Con i termini castrum e castello i Bizantini a Civitate, conquistano il Mezzogiorno introducendovi il sistema feudale: furono ripristinate antiche contee, tra le quali “quella del Gargano con Siponto”, comprese “tutte le terre interne e marittime dello sperone, ad eccezione di Viesti che rimase ancora in potere dei Greci” (DI TARANTO, 29); ed edificati piccoli insediamenti fortificati (castra o castella). Tra il 1150 ed il ’68 il conte Goffredo di Lesina tiene nel feudum de Pesckizo cinque militi, il numero più alto di tutti i feudi garganici; poi rte a Caprile (Carpino), due a Biccaro (Vico), Barano (Varano), Monte e Siponto; Mastro Enrico ne ha due a Sanctum Nicandrum (San Nicandro) e Devia (tra i due laghi, scomparsa); così Teobaldo Franciscus a Canianum (Cagnano); un solo militum ha la contessa di Caserta a Eschitella (Ischitella) e donna Ricarda a Rodum (Rodi). (CB, 377- 426)

Dagli Svevi ai d’Angiò
Anche gli Svevi , succeduti ai Normanni nel 1189, si preoccuparono di edificare o potenziare costruzioni difensive: soprattutto con Federico II, che fin dal suo insediamento /1220) tenta di recuperare il maggior numero di castelli demaniali, per rendere indipendente la corona dai grandi feudatari. In seguito (1230) istituisce i provisores castrurom, soprintendenti l’amministrazione ed il fornimento dei castelli dei sei distretti provvisionali in cui fu diviso il REgno, e nel 1239 vengono istituiti i collectores per il prelievo delle entrate statali necessarie all’amministrazione dei castelli. Il distretto di Capitinata comprendeva circa 50 tra castra e domi imperiales, da Termoli all’Incoronata; nello Statuto sulla riparazione dei castelli (1270 ca.), sul Gargano figurano Castra di s. Nicandri, Devie, Vici, Pesquicii, Veste e Tremiti; del castrum Pesquicii si dice “potest reparari per homines Pesquicii, Canneti, Montis Nigri, Rodii et Sphilixi”, cioé che dev’essere riparato con manodopera locale, di Canneto, di Monte Negro (entrambi casali presso Vico), Sfilzi e Rodi (del cui castello non si fa menzione). (SRC, 59) Proprio nel 1239 le fortificazioni di Termoli, Vieste e Peschici (forse anche quelle di Rodi e Mileto) sono rase al suolo dai Veneziani mandati da papa Gregorio IX contro lo scomunicato Federico II: “è fama che Federico in persona andasse per disegnarvi le nuove ” (DI TARANTO, 115)
La dinastia angioina eredita (1268) un’organizzazione difensiva capillarmente distribuita sul territorio e provvede ad aministrarla al meglio. Nel 1269 al magister balistariorum viene affidata l’amministrazione dei castelli, al secretum il prelievo per le retribuzioni delle guarnigioni, che comprendevano un castellanus miles, un castellanus scutifer, un serviens e un capellanus con suo clericus. La Capitinata, così munita, è al primo posto nelle contribuzioni con 817 unc. delle 7208 totali.

Dagli Spagnoli ai Borboni
Sotto gli Spagnoli, che presero possesso del Regno di Napoli nel 1504 il castello viene a far parte di un sistema di difesa costiero che deve far fronte al pericolo turco (1480 presa di Otranto e di Vieste). Nel 1564 fu stabilita la costruzione di dieci torri in Capitanata, tra il Fortore e Manfredonia: tra il 1568 e il ’70 furono erette quelle di Montepucci e Calalunga (abbattuta dai Turchi prima dell’entrata in esercizio); cinque ani dopo le torri costiere daune erano 21 e nel 1590 saranno 25 (339 in tutto il Regno).
E’ probabile che durante il dominio spagnolo sia stato realizzato anche il Recinto Baronale, la cittadella che si chiude ancor oggi intorno al castello: la chiesetta di S. Michele, posta dentro il REcinto, ha sull’architrave della porta un’iscrizione datata al 1585.. Data la posizione topografica, l’unica funzione di questa rocca era quella di rifugio durante un assedio, dopo l’eventuale abbattimento delle mura o delle porte: le mura chiudevano l’abitato (fino al 1884, quando furono edificate le prime abitazioni extra moenia), dalle Ripe alla Porta del ponte (levatoio) alla Porta di basso (abbattuta nei primi decenni del ‘900). Una serie di torrette indicano lo sviluppo delle fortificazioni e quindi del centro abitato , fino all’espansione massima delimitata dalla Porta del ponte. Quando nel 1592 l’agronomo Timoteo Mainardi è incaricato dall’abbazia di Tremiti di redigere l’elenco dei propri possedimenti, si viene a trovare in un abitato ricostruito da poco: “dalla porta della Piazza (cioè del Ponte) sino al Castello è stato fatto tutto novamente dallj Morlacchj” egli scrive (MAINARDI, 105). Quindi il Castello era ancora integro, perlomeno in piedi: mancano notizie sul successivo deterioramento, sulle cause e l’entità; si sa che Francesco Emanuele Pinto, signore d’Ischitella dal 1703 al ’67, fece realizzare opere di restauro al Castello del suffeudo di Peschici nel 1765, come ricorda una lapide posta all’ingresso del Recinto Baronale.

Il Castello oggi
In seguito alle riforme di fine ‘700, culminate con la legge sull’eversione del feudalesimo (1806), il Castello dovette passare dagli ultimi feudatari a privati, rappresentanti dell’emergente borghesia locale. Gli ultimi riflessi dell’originaria funzione si ebbero ancora qualche decennio fa, quando fu sede della caserma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.
Le strutture del piano inferiore- visibili grazie ai lavori di ripulitura e ripristino eseguiti di recente- sembrano essere sostanzialmente quelle originarie: le vicissitudini, danneggiamenti e abbattimenti, hanno investito le strutture superiori, scomparse da tempo. Mentre gli ambienti di rappresentanza trovavano sede nel piano superiore, i sotterranei dovevano ospitare senz’altro i servizi. Per il fatto che i castelli sono stati espressione locale e particolare – contrariamente ad esempio alle chiese che emanavano da un potere centrale ed unitario- è difficile poter fare un discorso tipologico ed inserire questo edificio all’interno di un filone affidandoci ai suoi caratteri costruttivi. I muri portanti sono massicci, l’apparato murario grezzo; alcuni ambienti sorti anteriormente sono stati giustapposti piccoli vani d’ampliamento; avanzi di una struttura semicircolare indicano la presenza di una torre circolare, di un pozzo o più probabilmente di una cisterna per la stivazione di frumento : non dimentichiamo che una cittadella fortificata doveva avere sufficiente autonomia, per quanto riguarda le derrate alimentari, soprattutto in caso di assedio prolungato.

A cura di Michel’antonio Piemontese

Abbreviazioni

CDT   Codice Diplomatico  del monastero  benedettino di  S. Maria di TRemini (1005– 1277), a cura di A. Petrucci, Roma 1960

SARNELLI   Pompeo Sarnelli, Cronologia de’ Vescovi  et Arcivescovi  Sipontini …, Manfredonia 1680.

CAVALIERI   Marcello  Cavalieri, Pellegrino al Gargano, Macerata 1680.

PIRENNE   Henri  Pirenne, Le città del Medioevo (1925), Bari 1995.

CARDINI   Franco Cardini, il guerriero e il cavaliere, in L’uomo medievale, a cura di J. Le Golf, Bari 1993.

DI TARANTO  Consalvo Di Taranto, La Capitanata al tempo dei Normanni e  degli Svevi (1925), Foggia 1994.

CB   Catalogus Baronum (1150- 68), a cura di Evely  Jamison, Roma 1972

SRC  Lo Statuto sulla riparazione dei castelli, appendice a L’amministrazione dei castelli nel Regno di Sicilia sotto Federico  II e Carlo I d’Angiò, a cura di Eduard Sthamer (1914), Bari  1995.

MAINARDI   Timoteo  Mainardi, Le ragioni del monastero di  S.Maria delle Tremiti, 1592, manoscritto

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